Articolo 1 Costituzione

Dispositivo

  1. L’Italia è una Repubblica democratica [ 139 ], fondata sul lavoro [ 4 ].
  2. La sovranità appartiene al popolo [ 48, 56, 58, 71, 75, 101 ss. ], che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Spiegazione dell’art. 1 costituzione

Questo articolo, con cui si apre la Costituzione e che detta i primi di quei Principi fondamentali entro cui è incorniciato il volto della Repubblica, pone, al suo primo comma, la caratterizzazione costituzionale dello Stato italiano; tale caratterizzazione è poi completata dall’art. 5.

Confrontando i due articolo e tenendo presente lo spirito con cui essi furono votati, si ricava che l’Italia è:

  • Stato repubblicano;
  • Stato democratico;
  • Stato parlamentare;
  • Una e indivisibile;
  • Stato regionale.

Questa è l’aggettivazione posta dagli articoli 1 e 5 della costituzione, ad eccezione di “parlamentare”, che costituisce la premessa della Parte Seconda della Costituzione; ma che non è stato ignorato neppure in sede di discussione dell’art. 1 costituzione. Il deputato Crispo propose di aggiungere anche questo aggettivo, con la formulazione: “l’Italia è una Repubblica parlamentare, ordinata democraticamente, secondo il principio della sovranità popolare”. I deputati Coppa e Mario Rodinò proposero un’ulteriore del medesimo concetto: “Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, parlamentare, antitotalitario”. L’onorevole Coppa, nell’illustrare questo emendamento, volle rilevare: “Qui non siamo tutti d’accordo sul significato da dare alla parola democrazia; soltanto se fossimo tutti d’accordo sarebbe superfluo aggiungere parlamentare e anche antititolaritario”. Ma non parve, invece, che vi fosse dissenso sul significato da darsi alla parola democrazia. L’assemblea votò senza contrasti la formula sintetica della Repubblica democratica, proposta dai deputati Fanfani, Grassi, Moro e altri; illustrando la quale l’on. Fanfani dichiarò “Nella nostra formazione l’espressione democratica vuole indicare i caratteri tradizionali, i fondamenti di libertà e di uguaglianza, senza dei quali non vi è democrazia”.

Le parole fondata sul lavoro non esprimono un concetto giuridico costituzionale. Indicano una caratterizzazione dal punto di vista economico-sociale e anche politico e storico. Nel progetto si diceva: “La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La formula votata fu preferita per la sua epigrafica brevità, senza che si sia voluto escludere il riferimento al campo politico, economico e sociale.

L’on. Fabbri e altri proposero di sostituire “fondata sul lavoro” con “fondata sulla giustizia sociale”. L’on. Fabbri disse:”Fin dai tempi del lavoro schiavista e dello sfruttamento più completo del lavoro, gli Stati, in gran parte, ma non mai totalmente, si sono basati sempre sul lavoro. Non si tratta quindi di dire una parola nuova né di fare una scoperta. Se noi vogliamo caratterizzare in qualche modo la nostra Carta costituzionale con un’enunciazione la quale ne richiami le aspirazioni veramente nuove e sulle quali ci si può trovare tutti d’accordo, essa può essere quella della giustizia sociale che effettivamente, come fondamento dell’organizzazione politica, non si è verificata in tutti i tempi”.

Il presidente della Commissione Ruini precisò: “È necessario in una Carta costituzionale stabilire fin da ora il principio che, oltre alla democrazia puramente politica, base di un nostro periodo glorioso di civiltà costituzionale, si deve oggi realizzare una democrazia sociale ed economica. Questo è il dato caratteristico che colorisce una nuova fase di storia”.

L’Assemblea, approvando la formula “fondata sul lavoro”, accettò questi criteri e anche quelli esposti dall’on. Fanfani, che, come si è detto sopra, la propose. Dalla illustrazione fattene emerge un significato non soltato economico, sociale, politico e storico, ma anche giuridico: non per quello che la formula dice, ma per quello che, approvandola, si vuol escludere. Disse infatti il proponente: “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui”.

Va infine rilevato che le parole “fondata sul lavoro” dell’art. 1 costituzione non hanno un significato classista. Questa interpretazione deve infatti escludersi per effetto delle dichiarazioni di voto rese dai rappresentati dei cari Gruppi parlamentari prima della Votazione della proposizione con cui si apre la Carta costituzionale. I Gruppi parlamentari socialista e comunista proposero la formula: “l’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori”; ma gli on. Basso e Amendola, nell’illustrarla, esclusero di volerle dare un’interpretazione classista. In sede di dichiarazioni di voto, l’on. Pacciardi, per il Gruppo repubblicano, e l’on. Bruni dichiararono che avrebbero votato per questa formula, non intendendo però darle alcun significato classista. L’on. Gronchi, a nome del Gruppo democristiano, disse: “È illogico negare che la parola lavoratori ha, anche contro la volontà dei proponenti, un significato classista, tanto è vero che sia l’on Pacciardi che l’on. Bruni hanno voluto dare una loro interpretazione”. L’oratore concluse dichiarando il voto contrario del suo Gruppo, il quale avrebbe invece votato la formula Fanfani.

Lo stesso Fanfani, illustrandola, aveva dichiarato:”Niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno può in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune”. Leggesi poi nella relazione Ruini al progetto: “Lavoro di tutti, non solo manuale ma in ogni sua forma di espressione umana”. 

Nel secondo comma la parola “appartiene” è riassuntiva di più concetti. Dalla complessa discussione si evince che essa è comprensiva di tre concetti:

  • Il possesso (il popolo è sovrano per diritto naturale originario);
  • La proprietà (il popolo si riconosce in senso giuridico titolare della sovranità e ne autodefinisce i modi e le forme di esercizio, ciò che è specificato nelle parole “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”);
  • L’irrinunciabilità (il popolo non può non rinunciare in tutto o in parte ed essere sovrano, a favore di una parte di se stesso o di un uomo).

Il proponente (on. Fanfani) la parola “appartiene” spiegò che la parola “è sufficiente a indicare a un tempo la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità, cioè il popolo”. L’on. Lucifero propose “risiede” per accentuare l’elemento possesso più ancora che quello proprietà. Il presidente della Commissione disse che tutto si riduceva alla ricerca della parola più appropriata, per esprimere tutti questi concetti: e accettò “appartiene”, perché aveva avuto, negli emendamenti, una adesione più larga.

L’on. Cartese propose questo emendamento aggiuntivo all’art. 1 costituzione:”Nessuna parte del popolo e nessun individuo può attribuirsene (la sovranità) l’esercizio”; non fu approvato per ragioni estetiche, per non alterare la brevità costituzionale della norma, dal momento che la sostanza doveva ritenersi implicitamente compresa nella formulazione che fu poi approvata.

Si osserva, da ultimo, che il popolo esercita la sovranità in maniera diretta e indiretta. La esercita in maniera diretta con du istituti: la elezione dei deputati e dei senatori e il referendum.

Giurisprudenza

Tribunale Chieti sez. lav., 25/01/2016 n.27

 Il lavoro non è solo strumento di sostentamento economico, ma è anche strumento di accrescimento della professionalità e di affermazione della propria identità a livello individuale e nel contesto sociale. Questa molteplicità di profili è considerata dalla Costituzione quando afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro (art. 1 costituzione), riconosce i diritti dell’uomo “sia come singolo che nelle formazioni sociali” (art. 2) e in particolare riconosce “il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, che è altresì un “dovere” nei confronti della società (art. 4). In questo contesto di valori ordinamentali, ottemperare all’ordine di “reintegrazione nel posto di lavoro” non può significare limitarsi a pagare la retribuzione e a permettere lo svolgimento dell’attività sindacale, ma significa ripristinare il rapporto di lavoro nella sua pienezza, consentendo l’esercizio dell’attività lavorativa.

Dottrina

Tania Groppi sull’art. 1 costituzione

“Il significato profondo dell’espressione «Repubblica democratica fondata sul lavoro» si concreta nel legame, nel nostro sistema costituzionale, tra la centralità della persona umana e la centralità del lavoro: «nel lavoro si realizza … la sintesi fra il principio personalistico … e quello solidarista». E ciò in quanto il lavoro è la connotazione che identifica e qualifica, universalisticamente, la condizione umana, per cui riconoscere la dignità alla persona umana significa «riconoscere dignità alla condizione umana di lavoratore e di lavoratrice».”