Art. 21 costituzione

Dispositivo

  1. Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero [ 33 ] con la parola, lo scritto e ogni altra forma di diffusione.
  2. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
  3. Si può procedere a sequestro solo per atto motivato dall’autorità giudiziaria [ 111 ] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
  4. In tali casi, quando vi è assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica [ c.p. 57-58bis ] può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida entro le ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d’ogni effetto.
  5. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
  6. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni.

Spiegazione dell’art. 21 costituzione

L’art. 21 costituzione, noto come quello sulla libertà di stampa, disciplina in verità non soltanto questa ma anche altre libertà di manifestazione del pensiero: libertà di parola, cinema, teatro, radio.

L’iter normativo è a un dipresso quello delle inviolabilità della persona e del domicilio; dopo l’affermazione di libertà si prevede, per le limitazioni, la regola della doppia garanzia dell’atto motivato dell’autorità giudiziaria e del caso previsto dalla legge; e si prevede l’eccezione dei provvedimenti provvisori di polizia in caso di necessità e di urgenza.

Il primo comma si apre con la parola « tutti », con la quale si è voluto espressamente garantire la libertà di manifestazione del pensiero tanto ai cittadini quanto agli stranieri. L’on. Andreotti propose di dire « tutti i cittadini »; poi ritirò l’emendamento, avendo compreso che esso non sarebbe stato approvato dall’Assemblea, resa convinta dalle ragioni in contrario esposte dall’on. Ghidini (« Credo che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso ogni forma, non appartenga al cittadino in quanto facente parte dello Stato italiano ma appartenga alla personalità umana. E questo diritto io lo riconosco a tutti: stranieri o cittadini che siano. Se invece con questa sostituzione si mira a creare una misura di carattere protezionistico nei riguardi dell’industria editoriale, le opportune misure potranno essere prese in altra sede ») e dall’on. Cappa (« Può essere opportuno limitare la facoltà di dirigere un giornale o di essere editore di un giornale; penso che per questo forse sarà opportuno stabilire la cittadinanza italiana; ma penso anche che non si possa distinguere lo straniero dal cittadino in rapporto a un diritto fondamentale»).

Per lo sviluppo concettuale dell’art. 21 costituzione, dopo il primo comma è opportuno collocare l’ultimo, riferentesi anch’esso a tutte le manifestazioni del pensiero. Il comma fu elaborato dal Comitato di redazione che volle fondere in una più sintetica formula le seguenti due proposizioni approvate dalla l. S e : « Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa, a tutela della pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della gioventù »; « Per la stampa periodica, il sequestro può essere eseguito nei casi di pubblicazioni oscene» I motivi della moralità, della protezione della gioventù e della necessità di combattere pubblicazioni e spettacoli osceni ricorsero durante tutta la discussione in sottocommissione e in Assemblea e possono considerarsi ispiratori della norma.

Nel progetto l’ultima proposizione era la seguente: « La legge determina misure adeguate ». L’on. Moro e numerosi altri deputati proposero di aggiungere « preventive e repressive ». Nell’illustrare la proposta, che fu approvata dall’Assemblea (la dizione fu poi perfezionata in sede di coordinamento finale), l’on. Moro disse fra l’altro: « Noi crediamo che almeno per le pubblicazioni oscene, almeno per gli spettacoli e per le altre manifestazioni che urtino contro il buon costume, sia ammessa non solo una severa repressione ma anche la possibilità di una prevenzione adeguata e immediata… La immediatezza è in questi casi indispensabile. Si tratta di evitare che il veleno corrosivo che si trova nella stampa pornografica e nelle altre manifestazioni contrarie al buon costume possa dilagare. Si tratta di fare in modo che sia impedito nel suo sorgere ». Già la sottocommissione per i problemi costituzionali del Ministero della Costituente aveva convenuto «sulla opportunità di stabilire per la cinematografia un’eccezione al divieto della censura preventiva, soprattutto a scopo di tutela della pubblica moralità, formulando identiche riserve « per le rappresentazioni teatrali e per la radiofonia, specie se per quest’ultima si dovesse ammettere il principio della libertà delle radiodiffusioni ».

Il secondo e il terzo comma dell’art. 21 costituzione si riferiscono a tutta la stampa; il quarto e il quinto comma soltanto alla stampa periodica.

Col secondo comma si detta la regola generale che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o a censure. Né a questa regola sono ammesse eccezioni: che nel comma successivo si preveda che la legge possa prescrivere norme « per l’indicazione dei responsabili », vale a dire la registrazione della stampa periodica e non periodica, non costituisce eccezione alla suddetta regola, perché la registrazione non è una autorizzazione: è una formalità che lo stampatore deve compiere per evidenti ragioni di interesse generale. La formula del terzo comma « per l’indicazione dei responsabili » fu dovuta a una proposta dell’on. Andreotti, che i presentatori della dizione poi approvata dall’Assemblea fecero propria. L’on. Andreotti spiegò: « Ho parlato di stampa clandestina e stampa periodica non registrata riferendomi per questa seconda ipotesi all’istituto della registrazione, in forma di semplice atto unilaterale che non richiede per la sua perfezione alcun giudizio di merito o discrezionale da parte di autorità amministrative o giudiziarie. La registrazione non può classificarsi come misura preventiva e, quindi, non viola il principio generale di libertà »

Tuttavia alla l. Sc. fu affacciata l’ipotesi di una eccezione di carattere generale alla regola del secondo comma, relativamente al tempo di guerra. Il problema fu sollevato dall’on. Lucifero il quale fece osservare che « in tempo di guerra si è sempre resa necessaria la censura, almeno per le notizie militari », e si riservò di proporre l’aggiunta « salvo che in caso di guerra per le sole notizie militari». La proposta non incontrò obiezione alcuna; e anzi l’on. Cevolotto osservò che « anche le notizie di carattere economico, in guerra, possono e devono essere vietate». L’on. Dossetti rilevò che non soltanto per la libertà di diffusione del pensiero ma « anche per altre libertà che sono state affermate si renderà necessaria una configurazione relativa all’ipotesi della guerra, e quindi probabilmente nel complesso degli articoli dovrà essere previsto questo caso. Una disposizione del genere è stata posta anche nel progetto di costituzione francese». Nella seduta del 2 ottobre la l. Sc. prese in esame il seguente articolo proposto dai relatori Basso e La Pira:

« L’esercizio dei diritti assicurati dalla presente Costituzione non può essere sospeso.

« Tuttavia allorché la Repubblica è proclamata in pericolo tali diritti possono essere sospesi entro i limiti e con le forme stabilite per legge.

« Questo provvedimento non potrà essere preso per un periodo di tempo superiore a sei mesi; e potrà essere rinnovato, nelle medesime forme.

« Chiunque ne avrà abusato per arrecare arbitrariamente pregiudizio ai diritti materiali o morali altrui assumerà personale responsabilità.

«Al termine del periodo di emergenza chiunque si riterrà arbitrariamente leso nella persona o nei beni potrà reclamare riparazione materiale o morale avanti ai tribunali».

Il relatore Basso fece presente che questo articolo era stato ricavato dalla costituzione francese e aggiungeva che i relatori erano un po’ incerti sulla formulazione. Alla quale, cosi come redatta, si opposero gli onorevoli Togliatti e Lucifero, in quanto con essa si autorizzava implicitamente la dichiarazione dello stato d’assedio. L’articolo fu allora rinviato al termine dei lavori della l. Sc. ma, di fatto, non fu più preso in esame.

L’argomento, quanto alla libertà di stampa, fu ripreso in Assemblea dall’on. Andreotti, il quale nella sua formulazione sostitutiva dell’intero articolo 21 propose di aggiungere al secondo comma; « salvo le eccezioni stabilite dalla legge per la censura delle notizie militari in tempo di guerra». Ma, nello svolgimento del suo articolo, l’on. Andreotti dichiarò di non insistere nel riferimento alla censura militare, « in quanto la sospensione delle garanzie costituzionali in caso di guerra sarà esaminata dalla Commissione e prevista in un articolo che affronterà la questione, oltre che per la libertà di stampa, anche per tutte le altre libertà».

Nella seduta del 15 aprile l’on. Crispo propose a sua volta questo articolo aggiuntivo:

« L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo e dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato d’assedio e i provvedimenti relativi ».

A nome della Commissione, l’on. Tupini dichiarò di accettare in linea di massima la proposta. Ma pregò l’on. Crispo di accedere a un rinvio di essa in sede di discussione del titolo sul Parlamento. L’on. Crispo aderì. Ma durante la discussione della Parte II della Costituzione la proposta fu ancora rinviata da un Titolo all’altro e finì con l’essere dimenticata. Eppure a ogni annunzio di questa proposta non vi furono contestazioni di sorta.

Sicché, nell’assenso di tutti coloro che ne hanno parlato e nel silenzio di tutti gli altri, la possibilità di sospensioni temporanee, in caso di guerra, deWesercizio dei diritti di libertà può ritenersi costituzionalmente autorizzata, ancorché non espressamente prevista dalla Costituzione.

Il terzo comma autorizza il sequestro, disposto dall’autorità giudiziaria, nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa lo autorizza. Il progetto parlava di reati, ma l’Assemblea approvò la sostituzione con delitti allo scopo di limitare i casi di sequestro. La proposta fu fatta in un primo momento dall’on. Grassi, poi da questi abbandonata e ripresa dall’on. Ghidini, il quale giudicò « un’esagerazione » ammettere il sequestro per semplici contravvenzioni.

La contravvenzione, preveduta nel seguito del comma, per la quale è autorizzato il sequestro (violazione delle norme che la legge sulla stampa prescriva per l’indicazione dei responsabili), deve quindi considerarsi come unica eccezione al principio che debba trattarsi di delitti. Essa fu approvata su proposta dell’on. Grassi, così motivata: « Intendiamo ridurre le possibilità di sequestro per violazioni amministrative soltanto ai casi della stampa clandestina^ nella quale manca un responsabile nel gerente o nella tipografia ».

Da sottolinearsi il significato assolutamente restrittivo delle parole « la legge sulla stampa ». Per altri diritti si è parlato di legge in genere. Pertanto solo la legge sulla stampa (e nessun’altra legge, neppure il Codice penale) potrà contenere l’elenco dei delitti e delle norme contro la stampa clandestina, ricorrendo i primi o essendo violate le seconde può procedersi al sequestro.

La Commissione del Ministero della Costituente aveva proposto di escludere dalla elencazione dei delitti per i quali si può procedere al sequestro quelli politici. L’argomento fu molto discusso alla l. Sc., e la maggioranza si pronunziò nel senso di non porre la limitazione che debba trattarsi di delitti non politici, allo scopo soprattutto di rendere possibile che nella legge sulla stampa possa autorizzarsi il sequestro per delitti politici fascisti (apologia del passato regime, ecc.).

Il quarto comma, che prevede i sequestri direttamente attuabili in via preventiva con provvedimenti provvisori da parte della polizia nei soli casi di assoluta urgenza e quando non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, si riferisce esclusivamente alla stampa periodica. Per la stampa non periodica occorrerà l’atto motivato dell’autorità giudiziaria. Una proposta nel senso di sopprimere la parola « periodica » fu respinta dall’Assemblea.

Da alcuni deputati fu espresso il voto che l’autorità giudiziaria potesse in avvenire organizzarsi in modo da provvedere essa stessa anche per i sequestri preventivi. L’on. Moro, parlando a nome del Gruppo democristiano, disse: «E un voto al quale noi ci associamo quello formulato da alcuni colleghi questa mattina, che vi siano dei magistrati addetti a questo lavoro ».

L’Assemblea approvò la formula « da ufficiali di pubblica sicurezza »; era stato proposto « da ufficiali di polizia giudiziaria «, ma, forse perché la differenza non fu fatta bene risaltare dai proponenti, l’Assemblea votò per l’altra dizione, non appropriata in quanto parlava di ufficiali (parola questa che va intesa nel suo significato gerarchico per le forze della pubblica sicurezza, mentre va intesa in senso non gerarchico ma di esecutori di ufficio per quelle della polizia giudiziaria) e non rispondeva al diffuso desiderio di affidare il compito del sequestro preventivo a un organo di polizia funzionalmente dipendente dall’autorità giudiziaria (art. 109) e non dal potere esecutivo. In sede di coordinamento finale il Comitato di redazione pose « ufficiali di polizia giudiziaria » al posto di «ufficiali di pubblica sicurezza», né durante l’esame del testo coordinato sorsero obiezioni in Assemblea.

Al quinto comma, che si riferisce anch’esso soltanto alla stampa periodica, l’on. Ruggero propose di sostituire «la legge stabilisce» a «la legge può stabilire»; ma l’Assemblea respinse l’emendamento, confermando che la norma prevede non un obbligo ma una facoltà del legislatore a stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Se il legislatore si avvarrà di questa facoltà, dovrà dettare « norme di carattere generale», vale a dire per tutta la stampa periodica, non per una pubblicazione o per un gruppo di pubblicazioni, secondo l’interpretazione data in altra occasione a questa dizione.

La formula del comma si deve a un emendamento proposto dall’on. Mortati, il quale così lo motivò: « Lo spirito dell emendamento sta nel sopprimere ogni potere di controllo dello Stato su queste fonti di entrate e di limitare semplicemente l’obbligo alla pubblicazione dei bilanci, in modo da affidare il controllo alla pubblica opinione ». L’Assemblea, approvando, accettò l’interpretazione restrittiva che della formula diede il proponente. Questa interpretazione concorda d’altronde con quella data dalla Commissione del Ministero della Costituente, che per prima segnalò l’opportunità, riconosciuta poi dalla l. Sc. , di « sancire nella Costituzione l’obbligo della pubblicità dei bilanci delle aziende editrici di periodici.

La I. Sc. aveva posto accanto al principio della pubblicità dei mezzi di finanziamento quello del controllo « per l’accertamento delle fonti di notizie », In Assemblea gli on. Fanfani e Gronchi proposero di dare alla legge anche la facoltà di « regolare l’utilizzazione delle imprese tipografiche e di radiodiffusione »; ma l’Assemblea soppresse dal testo il controllo sulle fonti di notizie della stampa e respinse la proposta Fanfani-Gronchi, intendendo con ciò confermare il carattere tassativo delle limitazioni alla libertà di stampa previste nell’art. 21 costituzione. L’emendamento Fanfani-Gronchi non fu illustrato, né dalle dichiarazioni di voto si è potuto comprendere che cosa i proponenti abbiano inteso dire parlando di utilizzazione delle imprese di radiodiffusione. Sicché nessuna particolare deduzione di carattere normativo o interpretativo può trarsi dal fatto che l’Assemblea abbia respinto questa proposta.

Giurisprudenza sull’art. 21 costituzione

Cassazione civile sez. un., 17/05/2021, n.13168:

“Ai fini della responsabilità disciplinare dell’avvocato, le espressioni sconvenienti od offensive vietate dal codice deontologico forense, vigente “ratione temporis”, rilevano di per sé, a prescindere dal contesto in cui sono usate e dalla veridicità dei fatti che ne sono oggetto, senza che tale divieto, previsto a salvaguardia della dignità e del decoro della professione, si ponga in contrasto con il diritto, tutelato dall’art. 21 costituzione, di manifestare liberamente il proprio pensiero, il quale non è assoluto ma trova concreti limiti nei concorrenti diritti dei terzi e nell’esigenza di tutelare interessi diversi, anch’essi costituzionalmente garantiti.”

Cassazione penale sez. V, 17/02/2021, n.13993:

“È legittima, in relazione all’art. 10 Cedu, secondo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie “internet”), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.”

Dottrina

«Sa, in una democrazia è importante stabilire le regole del gioco. Invece a me sembra che da un po’, anche con il decreto intercettazioni, si indulga troppo nel gioco delle regole». Non è un calembour, no, se si pensa che persino il presidente Giovanni Maria Flick, nello sfogliare i prospetti comparativi delle nuove, vecchie e vecchissime norme sulle intercettazioni, è sconcertato dall’«incredibile, sconcertante intreccio di modifiche, tale da prefigurare un chiarissimo rischio di conflitti interpretativi. E guardi», dice il presidente emerito della Corte costituzionale, fin dal principio di un’ampia e per certi versi appassionata riflessione sul decreto legge e su alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione, «che le difficoltà non saranno solo dei miei bravissimi colleghi ricercatori, destinati a misurarsi con questo groviglio nelle loro attività universitarie, ma innanzitutto dei magistrati e degli avvocati che quel groviglio dovranno applicare».[…]

 Intervista di Errico Novi al Pres. Giovanni Maria Flick.