Art. 22 costituzione

Dispositivo

Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica [ c.c. 1 ], della cittadinanza, del nome [ c.c. 6, 7, 9 ].

Spiegazione dell’art. 22 costituzione

L’art. 22 costituzione può considerarsi uno sviluppo del principio della uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sancito dall’art. 3, La l. Sc. aveva preveduto soltanto le ipotesi della cittadinanza e del nome; e solo per la cittadinanza aveva posto il divieto di toglierla per « motivi politici »; per il nome aveva stabilito in via assoluta che nessuno può esserne privato, per nessun motivo, politico o meno. Il Comitato di redazione volle introdurre anche la capacità giuridica e abbreviare e unificare la dizione; e quindi, a scopo redazionale, parificò i tre diritti vietandone la privazione per motivi politici. Da ciò parrebbe potersi trarre la conseguenza positiva – come rilevò in Assemblea l’on. Badini Gonfalonieri che per tutti i motivi non politici si possa essere privati della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome. Ma l’iter attraverso il quale si è giunti alla formulazione e la mens legis escludono una simile conseguenza, almeno per ciò che riguarda jus nominis, per il quale la l. Sc. aveva posto un divieto assoluto alla privazione, sebbene gli esempi di privazione che furono portati avessero sapore politico (casi degli ebrei e degli allogeni).

Quanto alla capacità giuridica, è evidente che nessuna norma di legge potrebbe toglierla in toto. La morte civile è un istituto sconosciuto alla civiltà moderna. La legge potrà solo stabilire limitazioni alla capacità giuridica, le quali nei casi più gravi giungono fino alla perdita temporanea o (per l’ergastolano) permanente della patria potestà, dell’autorità maritale e della capacità di testare nei casi preveduti dal Codice penale; ma che, nei casi più ricorrenti, sono limitazioni alla capacità di agire (inabilitazione, interdizione, ecc.). L’on. Badini Gonfalonieri svolse analoghe considerazioni in Assemblea chiedendo la soppressione dell’inciso « per motivi politici », allo scopo appunto di rendere assoluto il divieto. Ma la Commissione, per bocca dell’on. Tupini, non accettò l’emendamento soppressivo, riconoscendo apertamente il significato soprattutto reattivo della norma» in reazione, cioè (come disse l’on. Cappi), a tutte le violazioni di libertà commesse dal fascismo. E l’Assemblea respinse la proposta di soppressione. Quanto alla cittadinanza, in sottocommissione furono sollevati molti dubbi sulla opportunità di vietarne la privazione per motivi politici; si temette che la semplice enunciazione di questa formula potesse dar luogo a interpretazioni estensive tali da rendere impossibile la perdita della cittadinanza come pena accessoria di una condanna per delitti preveduti e puniti dal Codice penale come « politici » E, quanto alla cittadinanza, la dizione « per motivi politici « fu approvata dalla l. Sc. con l’espressa riserva di darle un significato restrittivo. Ciò si desume dalle dichiarazioni rese, per la maggioranza, dagli on. Dossetti e Grassi. L’on. Dossetti sostenne « la necessità di affermare il principio che lo status civitatis non può essere tolto per motivi politici, intesi nel senso di motivi di parte », e aggiunse che non avrebbe potuto votare « una formula in cui questi motivi politici vengano affermati in modo generico, di maniera che in sede di interpretazione costituzionale se ne possa dedurre l’impossibilità legislativa di affermare la perdita della cittadinanza in determinati casi »; ed egli aveva in precedenza portato l’esempio del cittadino che renda servigi a uno Stato straniero.

L’on. Grassi dichiarò: « Non è in questa sede che ci si deve preoccupare della collaborazione eventuale del cittadino con altre collettività che non siano quella nazionale e della incompatibilità a continuare il godimento della cittadinanza di origine. La norma costituzionale che si intende approvare non impedisce che in seguito la legge sulla cittadinanza prenda in esame il caso. Il concetto che si vuole affermare in questo momento è. che il cittadino non possa essere privato della sua cittadinanza in ragione del suo atteggiamento politico, inteso questo nel senso più ristretto di fazione o di parte ». Inoltre, dopo che furono fatte queste dichiarazioni, la l. Sc. avvertì il bisogno di approvare anche il seguente comma: « La perdita della cittadinanza per altri motivi – (non di fazione o di parte) – è regolata dalla legge ». Ma il Comitato di redazione considerò superflua la norma e la soppresse.

Giurisprudenza sull’art. 22 costituzione

Cassazione civile sez. I, 17/02/2020, n.3877:

“Il riconoscimento del primario diritto all’identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende conseguenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato. (Nella specie, la Corte d’appello aveva negato il diritto alla rettifica del prenome “Alessandro” in “Alexandra” ritenendo che necessariamente dovesse essere modificato nel corrispondente di genere “Alessandra”).”

Dottrina

Non vi è dubbio che il nome rientri nella categoria dei diritti inviolabili, in quanto elemento primario nell’individuazione della persona umana, che ha una principale funzione di identificazione attribuita dalla legge alla persona e tutelata anche nei confronti dello Stato. Ne troviamo conferma nell’art. 22 costituzione, che vieta la privazione della capacità, della cittadinanza e del « nome » per ragioni politiche: intese queste dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale nel senso più ampio, comprendente qualsiasi motivazione tendente a limitare o sopprimere tali fondamentali situazioni giuridiche. « Non si tratta semplicemente di non discriminare per motivi di opinione politica i cittadini fra loro, ma di escludere che anche per motivi connessi agli interessi pubblici della comunità possa un cittadino essere privato di alcuni fondamentalissimi diritti di appartenenza alla comunità politica e al suo gruppo sociale ». La norma costituzionale in sostanza mira « a sottrarre alla disponibilità dello stesso legislatore la possibilità di far venir meno, anche in riferimento agli interessi politici della comunità, alcuni aspetti dello status del cittadino »

Mariaenza La Torre