Controlli del datore sul dipendente: è legittimo? cosa fare?

Il rapporto fra datori di lavoro e lavoratori è un tema sempre attuale. Con questo articolo affrontiamo una questione particolarmente spinosa: fino a che punto sono legittimi i controlli del datore sul dipendente? Che cosa fare nel caso di videosorveglianza, controllo del computer, delle mail o altro?

Premessa

Il diritto al Lavoro è uno dei principi fondamentali della Costituzione Italiana (articoli 4, 35 e seguenti). Spesso però la realtà si distacca dall’ideale. È noto infatti che i datori di lavoro hanno un potere contrattuale (e non) solitamente più elevato rispetto ai propri dipendenti.

A seguito delle numerose vicende politiche dello scorso secolo è stato introdotto lo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300 del 20 maggio 1970). La principale funzione è quella di tutelare il dipendente. Da allora numerosi sono stati gli aggiornamenti della disciplina, nonché le leggi speciali che sono intervenute per disciplinare particolari tipi di lavoro (ad es. P.A., professionisti, stagionali, etc).

In questo articolo ci occupiamo del tema del controllo, delle sue diverse forme e dei casi che frequentemente si verificano. Nella parte finale daremo poi le possibili soluzioni che possono essere adottate per tutelare al meglio i diritti del lavoratore

Videosorveglianza e strumenti di controllo a distanza del dipendente: l’art. 4 dello Statuto

Un particolare ambito in cui il dipendente ha necessità di essere tutelato, è quello della “videosorveglianza ed altri strumenti di controllo”. Proprio questo è il titolo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, il quale prevede un uso molto limitato dei controlli del datore a distanza.

In particolare, l’uso degli impianti audiovisivi (le videocamere) e degli altri strumenti di controllo a distanza è permesso esclusivamente per:

  • Esigenze organizzative e produttive, relative all’attività e a quanto vi è collegato e non sul lavoratore (p.es. per sapere dove siano collocati degli oggetti o lo stato operativo di macchinari)
  • Sicurezza del lavoro, al fine di controllare, limitare o evitare l’insorgere di pericoli per le persone (nel rispetto della normativa sulla sicurezza sul lavoro
  • Tutela del patrimonio aziendale, che è ora la base del “controllo difensivo”, diretto ad accertare che non vengano commessi illeciti nel lavoro (p.es. danneggiamento, furto, ecc-, vedi le sentenze della Cassazione n. 4746 del 2002 e n. 2722 del 2012)

Concretamente questo significa che il dipendente non può essere “spiato” tramite telecamere o altri mezzi per controllare la prestazione del dipendente, ma solo l’attività. Ad esempio è illegittimo il controllo a distanza per assicurarsi che un barman non si sieda, un impiegato non si allontani dalla postazione o ancora un operaio non si riposi.

Anche se gli strumenti di controllo soddisfano le esigenze citate, in ogni caso l’art. 4 prevede che essi “possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale” o con la Direzione Provinciale del Lavoro (DPL), eventualmente. Non basta quindi, come tentato da qualche datore , il consenso di tutti i dipendenti (vedi la sentenza della Cassazione n. 22148 del 2017). In assenza dell’accordo sindacale, l’installazione di questi strumenti è addirittura considerato reato ai sensi di diversi articoli (quali il 28 ed il 38 dello Statuto dei lavoratori, il 162, comma 2 ter, 171 e 172 del Codice della Privacy). A tal proposito si vedano anche le sentenze della Cassazione penale n. 38882 del 2018 e n. 1733 del 2020.

Controlli del datore di strumenti di lavoro e rilevatori: serve comunque l’informazione

Quanto detto finora riguarda però solo il comma 1, mentre il divieto non si applica al comma 2 dello stesso articolo agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (computer, software, veicoli, attrezzi, ecc…) e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze (la timbratrice o il sistema video all’ingresso di un edificio).

I controlli del datore di questo tipo (così come quelli a distanza del comma 1) sono però considerati legittimi solo alla condizione del comma 3. Le informazioni raccolte con questi sistemi di controllo sono utilizzabili solo se viene data adeguata informazione al lavoratore su modalità d’uso ed effettuazione dei controlli.

Come se non bastasse, infine, deve essere sempre rispettato quanto previsto dal Codice della privacy nonché dell’articolo 5 del Regolamento UE 2016/679. Questo significa che è possibile il trattamento dei dati personali dei propri dipendenti – che non siano sensibili – purché siano rispettate le condizioni di liceità, necessità e trasparenza. I dati raccolti poi devono essere raccolti secondo pertinenza, adeguatezza e non eccedenza.

Casistica: veicoli, computer, mail, software e badges

Il tema dei controlli del datore sul dipendente è ancora fonte di dibattiti accesi, poiché l’evoluzione tecnologica permette di sapere molte cose della vita del dipendente, anche nella sfera privata:

  • Può capitare per esempio che il datore, controllando il GPS del veicolo necessario per il lavoro, sostanzialmente tracci gli spostamenti del lavoratore. Esso sarà legittimo solo ad alcune condizioni, vedi circolare 2/2016 dell’INL e provvedimento del 16/03/2017 del Garante della privacy.
  • O ancora, è possibile che il datore acceda al computer per verificare se ne viene fatto un uso extralavorativo. P.es. è lecito controllare che non si usino videogiochi durante l’orario di lavoro, secondo la sentenza della Cassazione n.13266 del 2018.
  • Anche l’accesso all’account Mail aziendale è possibile, ma entro certi limiti. Ad esempio per controllare che non sia lesa l’immagine aziendale con riferimenti scurrili all’azienda e a chi vi opera, come nella sentenza della Cassazione n. 26682 del 2017. Questo controllo, come detto, non è legittimo se non vi è stata la previa informazione al lavoratore, vedi la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 2017 sul caso 61496/08 Barbulescu v. Romania.
  • Per quanto riguarda i Software, essi devono rispettare i criteri più ampi del comma 2 solo se servono unicamente per prestare il lavoro. Tutte le funzioni che servono per controllare i dipendenti, anche indirettamente, devono sempre rispettare i requisiti del comma 1. Per fare un esempio, il software usato nei Call Center per fornire l’anagrafe del cliente è perfettamente rientrante fra gli strumenti di lavoro. Ma esso diventa uno strumento di controllo “per esigenze organizzative” se usato per ottenere dati ed estrarre report sugli operatori telefonici stessi. Di conseguenza sarà necessario per la legittimità del software, oltre all’informazione ai dipendenti, anche l’accordo con i sindacati. Vedi il Provvedimento n. 139 del 09/03/2018 del Garante della Privacy.
  • Certamente sono legittimi i cartellini “marca-tempo” mentre un sistema di Badges troppo avanzato è uno “strumento di controllo a distanza” e non un semplice rilevatore di presenza, poiché permette un controllo continuo, permanente e globale sui dipendenti. Vedi la sentenza della Cassazione n. 17531 del 2017.

Dubbi sulla legittimità dei controlli del datore: Cosa fare?

Molti sono i casi che in concreto rientrano all’interno di questa disciplina. Solo un’analisi attenta ed un ragionamento rigoroso permettono di tutelare al meglio i diritti che sono in ballo in questa materia. Innanzitutto bisognerà avvalersi di un professionista per inquadrare correttamente il caso. Solo successivamente ci si potrà tutelare nei seguenti modi:

  • Innanzitutto, raccogli quante più prove possibili che un controllo sta avvenendo (p.es. documenti, messaggi o registrazioni in cui viene dichiarato). L’esistenza dello strumento di controllo sul dipendente in sé è già più che sufficiente, ma è sempre meglio avere elementi in più.
  • Solo dopo, se preferisci adottare un approccio più leggero, rivolgiti al datore di lavoro facendo presente che esistono diverse norme specifiche che vietano diversi tipi di controllo. Se serve, esponi quanto letto in questo articolo. Il tentativo di dialogo potrebbe portare lo stesso risultato di una causa senza però incrinare i rapporti datore-dipendente.
  • Se il tentativo di dialogo non dovesse andare a buon fine, o ritieni che comunque sia inutile intraprenderlo, rivolgiti ad un avvocato. Il passo successivo è quello di fare un ricorso al giudice del lavoro secondo l’articolo 414 c.p.c.

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